La stessa convinzione del 1946 al passo Sella
Allo Stato Italiano: "Blindare la regione", ma DOPO il ripristino dei vecchi confini e non portare a compimento il progetto fascista dell'assimilazione
Il popolo ha parlato: i cittadini di Col, Fodom e Ampezzo hanno espresso chiaramente la loro volontà di essere riaggregati alla compagine ladina, all’interno di quella Regione dalla quale 70 anni fa erano stati separati d’imperio, mediante un decreto fascista che – secondo la nota espressione di Ettore Tolomei – doveva “grattar via la macchia grigia dei ladini dolomitici”.
Il popolo ha parlato, con la stessa convinzione dei 3000 ladini radunati al Passo Sella il 14 luglio 1946. Ora, accanto alla misurata soddisfazione dei promotori, come si conviene alle genti di montagna, si registra un continuo susseguirsi di commenti da parte di politici di ogni estrazione, in uno spettro di posizioni che va dalla pura irrazionalità ai sottili sofismi di convenienza. Certo Cortina non è Lamon.
Siro Bigontina e Fabio Chiocchetti.
È comprensibile l’irritazione del governatore Galan, che promette sfaceli ed evoca “rigurgiti nazionalisti” non si capisce bene se riferiti ai 30.000 ladini (gente pacifica, si sa) o se a fantomatiche Panzerdivisionen infarcite di SS e di terroristi sudtirolesi pronte ad invadere il sacro suolo italiano. Meno comprensibili le minacce di “trasferire” i riottosi oltre confine, che rieccheggiano deportazioni e le tristi vicende delle Opzioni nazi-fasciste. Ma francamente anche l’annunciato ricorso alla Corte di giustizia europea “se Bolzano dirà di sì” appare illogico, trattandosi di una questione interna allo stato italiano e di una procedura democratica prevista dalla costituzione. Altrettanto si potrebbe dire però per il parere dell’Austria invocato da Zeller e Durnwalder: non sono in gioco i confini tra i due stati e nemmeno l’autonomia del Sudtirolo (di cui l’Austria è potenza tutrice); non è in gioco nemmeno una “restrizione” della tutela, ma al contrario una sua estensione a territori storicamente appartenenti alla regione tutelata, per cui interpellare l’Austria potrebbe costituire al massimo un atto di cortesia, il cui esito dovrebbe essere scontato. A meno che non entrino in gioco interessi e ragioni politiche di altra natura.
La prudenza di Dellai è a sua volta comprensibile. Si teme una nuova valanga di referendum da parte dei comuni di confine desiderosi di cambiar regione (e sono già tanti), con conseguente situazione di instabilità per l’autonomia speciale oggetto di crescenti attacchi da parte delle regioni a statuto ordinario. Preoccupazione seria, ma la strada alternativa indicata dal Governatore trentino per quanto riguarda i ladini (uniti sì, ma senza toccare i confini) è pura illusione: “progetti comuni” per sviluppare la collaborazione interladina potrebbero stare in piedi – casomai – tra province o regioni dotate di equivalenti capacità legislative e finanziarie: troppo grande il divario con Belluno e il Veneto. E poi, oltre alla fantasia, sarebbe necessaria una politica comune nei confronti dei ladini da parte dei tre governi interessati, requisito che al momento non c’è, e questo Dellai lo sa bene: interessi divergenti hanno finora ostacolato se non reso impossibili persino i progetti comuni qualificanti tra ladini all’interno della stessa Regione Trentino – Südtirol, come ad esempio la gestione delle risorse linguistiche e la standardizzazione, mentre la stessa Conferenza dei Sindaci ladini (istituzione di grandi potenzialità) è stata invero costituita allo scopo di estromettere l’Union Generela dalla possibilità di sviluppare il suo ruolo naturale di “ente di coordinamento e di proposta” per la semplice utilizzazione dei fondi a sostegno delle minoranze divisi in più circoscrizioni amministrative, come previsto dalla Legge 482/99. Figuriamoci quali progetti comuni si potrebbero impostare con Belluno, che da 15 anni persegue le proprie (legittime) aspirazioni autonomistiche mediante l’idea di una “ladinità bellunese” estesa a dismisura a gran parte del proprio territorio: si badi bene, il pronunciamento referendario dei ladini di Col, Fodom e Ampezzo è anche una reazione di difesa rispetto alla marea montante della “neo-ladinità”, una questione di identità, non di privilegi.
Se poi qualcuno pensa che i confini siano oggi più permeabili di un tempo, chieda ai ladini di Fodom e Ampezzo quante risorse siano state destinate dalla Regione e dalle ricche ed autonome province di Trento e Bolzano per sostenere l’attività del neo-costituito Istitut Ladin di Colle S. Lucia, che oggi rischia di chiudere i battenti per mancanza di fondi.
Dellai ha certamente dalla sua una visione sinceramente positiva e lungimirante dell’unità ladina, sostanziata ormai da un decennio di buona pratica politica e amministrativa. Tuttavia fa specie che la sua posizione sul post-referendum (i confini non si toccano) venga a coincidere con quella dell’assessore sudtirolese Florian Mussner, il quale – differenziandosi da Durnwalder – si è fatto strenuo difensore dello status quo per ragioni di altra natura, ragioni consone con la sua politica apertamente differenzialista e anti-unitaria, per cui “veri” ladini sono i badiotti e i gardenesi “e gli altri debbono adeguarsi”, o arrangiarsi.
Ma il popolo ha parlato, le difficoltà di un iter incerto non possono essere usate come alibi per coprire decisioni già prese, né sembra corretto addossare alle popolazioni di Col, Fodom e Ampezzo l’onere di rimuovere gli ostacoli: questo è compito della politica, e dei politici in particolare. Perciò, se non si vuol ridurre il referendum ad una presa in giro e la democrazia ad una barzelletta, al disagio dei ladini – così come al disagio dei comuni montani – si debbono dare risposte serie, concrete ed adeguate, che vuol dire anche “differenziate” all’occorrenza, non necessariamente identiche.
Nell’attesa che anche alle regioni a statuto ordinario vengano attribuite compentenze nuove e dotazioni finanziarie corrispondenti, in una visione federalista dello Stato, c’è un solo modo per arginare lo “smottamento” referendario. Qui hanno ragione Giampaolo Andreatta e Tarcisio Grandi: una legge che ripristini i confini della Regione ante-1923, con o senza referendum. Del resto, nessuna delle popolazioni interessate è stata interpellata quando i territori di Col, Fodom, Ampezzo, Pedemonte, Valvestino e Magasa sono stati amputati. E qui si tratta solo di riparare un torto e sanare un’ingiustizia storica, ben sapendo che nessun tardivo risarcimento potrà restuire a quelle comunità ciò che è stato loro sottratto da 70 anni a questa parte, in termini di identità, ambiente e sviluppo.
Boato dice che il passaggio da una regione all’altra previsto dalla costituzione è una possibilità, non un diritto. È vero, ma è un diritto sacrosanto, per una comunità ingiustamente smembrata, veder riparato il torto subito, specie se ne va della sua stessa sopravvivenza. E che i ladini di Col, Fodom e Ampezzo siano ad alto rischio di estinzione lo sanno tutti. Per contro, le istituzioni e le forze politiche hanno il dovere di riparare ai torti della storia, un dovere morale prima che ancora che politico.
Si attivino dunque i politici sinceramente democratici e autonomisti, i politici sensibili alle identità minoritarie, e mettano in atto tutte le iniziative necessarie per appianare le difficoltà e per ottenere il consenso necessario a rendere possibile questa riparazione. Per dare un primo segnale forte, si porti in Consiglio Regionale un disegno di legge-voto per sollecitare il parlamento a legiferare in materia, nel senso ufficialmente indicato dall’Assemblea regionale nella sua prima seduta in quel lontano 13 dicembre 1948: se ne faccia carico per cominciare il consigliere ladino Luigi Chiocchetti, insieme ai colleghi disponibili, al di sopra degli schieramenti e delle ideologie, e la maggioranza si troverà.
Contestualmente si potrà anche “blindare la regione”, ovvero sottrarre la modifica dei confini delle regioni a statuto speciali alle procedure previste per le regioni ordinarie, o renderne impossibile la procedura. Ma DOPO il ripristino dei vecchi confini. Altrimenti sarebbe preferibile abrogare tout court il relativo articolo della Costituzione, ammettere onestamente che non si intende modificare in alcun modo lo status quo, e che in barba alla volontà delle popolazioni interessate si preferisce ancora una volta sacrificare alla ragion di stato i diritti della comunità ladina, portando a compimento il progetto fascista dell’assimilazione.
Sèn Jan, Pieif de Fascia, ai 31 de otober 2007
Fabio Chiocchetti
Direttore dell’Istitut Cultural Ladin